Lo scorso gennaio la Drina, uno dei fiumi più importanti della penisola balcanica, si è trasformata in una vera e propria discarica galleggiante, come conseguenza della cattiva gestione ambientale e del periodo di maltempo che ha colpito la regione. I rifiuti si sono accumulati tra Serbia e Montenegro, viste le numerose discariche presenti nei fiumi Tara e Lima e che confluiscono nella Drina. Il problema principale è che questi rifiuti confluiscono nella discarica municipale di Višegrad (città nell’est della Bosnia-Erzegovina, nell’entità della Republika Srpska, situata al confine con la Serbia), che non ha la capacità sufficiente a gestirli. La conseguenza di tale processo è la combustione della massa di rifiuti in eccesso, con tutte i danni che questo comporta per l’ambiente e la salute dei cittadini. Il fenomeno ha radici profonde, ed è il risultato di una lunga e difficile gestione ambientale.
Una gestione che non prevede una corretta raccolta e separazione dei principali flussi di rifiuti e che crea una serie di criticità direttamente collegate all’inquinamento idrico, visto che i fiumi che attraversano la regione dei Balcani occidentali raccolgono e poi riversano rilevanti quantità di immondizia. Il problema è particolarmente rilevante perché i paesi coinvolti sono candidati all’ingresso nell’Unione Europea, con i “requisiti” ambientali che ciò comporta. L’Unione europea è infatti uno degli attori più impegnati nella tutela dell’ambiente. L’origine di questo obiettivo all’interno dei Trattati europei risale all’Atto unico europeo, poi introdotto esplicitamente con il Trattato di Maastricht del 1992. Nel 1993 venne istituita l’Agenzia europea per l’ambiente. Da quel momento in poi l’Europa ha adottato politiche sempre più ambiziose; un esempio recente è la decisione di porre fine alle vendite di automobili nuove a combustibili fossili dal 2035, manifestazione diretta dell’obiettivo primario europeo, quello delle zero emissioni. Questo proposito è divenuto giuridicamente vincolante per tutti gli Stati membri con la Legge europea sul clima (Regolamento Cee/Ue 30 giugno 2021 n.1119) e prevede il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Per questo, sulla base del Green new deal (approvato nel 2019) e del Recovery plan for Europe (che copre gli anni 2021/2023), la Commissione europea ha investito il 30% del suo budget in programmi da mettere in atto in funzione di un futuro sempre più sostenibile. Nello specifico, con il Green new deal si intende decarbonizzare il settore energetico, che rappresenta il 75% delle emissioni inquinanti, coinvolgendo anche il sistema di produzione industriale. Ed è proprio in riferimento a questo scopo che i paesi dei Balcani candidati all’ingresso nell’Unione riscontrano le maggiori difficoltà. Tutti gli Stati Ue, infatti, riceveranno un pacchetto di aiuti finanziari per mettere in moto, con iniziative efficaci, la transizione, in particolare tramite finanziamenti allocati con il Fondo europeo di sviluppo regionale (Erdf) e il Fondo di coesione (Cf). Tra questi aiuti, però, ci sono anche quelli a favore dei paesi dei Balcani occidentali, che presentano non a caso le maggiori criticità rispetto al raggiungimento degli obiettivi posti. Nell’intera regione, infatti, il livello di inquinamento è molto elevato, causato soprattutto dall’utilizzo del carbone, che ammonta al 70%. Solo in Bosnia-Erzegovina, la maggior parte dell’elettricità è prodotta da impianti alimentati a carbone. Le città della regione registrano livelli di qualità dell’aria tra i peggiori del Vecchio continente: Belgrado è una delle città più inquinate al mondo, insieme a Sarajevo, Skopje e Priština. A peggiorare la situazione si aggiungono la mancanza di finanziamenti ai trasporti pubblici e l’utilizzo del carbone o del legno anche per il riscaldamento domestico. Le numerose centrali di lignite presenti nell’area, inoltre, sono dotate di tecnologie obsolete ed emettono sostanza particolarmente nocive nell’atmosfera a cause del mancato utilizzo di filtri impiegati per eliminare le sostanze più dannose.
In questa regione la decarbonizzazione risulta quindi fondamentale per ridurre l’inquinamento. L’abbandono di questo combustibile fossile migliorerebbe la qualità di vita dei cittadini, comporterebbe un ammodernamento del tessuto socio-economico dei paesi e, di conseguenza, anche notevoli risparmi in ambito sanitario. In questo senso, il pacchetto di sostegno dell’Ue per l’energia, del valore di un miliardo di euro in sovvenzioni, aiuterà i Balcani occidentali ad accelerare la transizione energetica. Tale misura è finanziata tramite lo strumento di assistenza preadesione (Ipa III) e comprende misure immediate, a breve e medio termine, per fornire aiuto ai cittadini e alle imprese, con un primo importo di 500 milioni di euro. L’altra sovvenzione dello stesso importo sarà dedicata a investimenti a sostegno della transizione energetica e dell’indipendenza energetica, al fine di finanziare miglioramenti alle infrastrutture e agli interconnettori per il gas, il Gnl (gas liquefatto) e l’energia elettrica, nonché nuovi progetti nel settore delle energie rinnovabili, l’ammodernamento dei sistemi di trasmissione dell’energia e, in generale, misure di efficienza energetica.
Altro importante strumento a supporto dei leader dei Balcani occidentali in questo processo di transizione è l’Agenda verde. Firmando la relativa Dichiarazione di Sofia, i governi dei paesi dei Balcani occidentali si sono impegnati a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e ad allinearsi al Green deal europeo. L’Agenda è inserita nel Piano economico e degli investimenti, che punta proprio a trasformare e stimolare l’obiettivo green a lungo termine della regione. Essa si basa sui cinque settori contemplati dal Green deal: decarbonizzazione, riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, economia circolare, agricoltura e produzione alimentare e protezione della biodiversità. Altri piani che possono contribuire ulteriormente all’attuazione di questo progetto sono la strategia dell’Ue per la regione adriatica e ionica (Eusair) e la strategia dell’Ue per la regione danubiana (Eusdr), nel cui ambito i paesi dei Balcani occidentali svolgono un ruolo importante. Infine, altro elemento essenziale è la mobilità sostenibile, ragione per la quale sarebbe auspicabile l’attuazione di una riforma “verde” anche in questo settore. I paesi dei Balcani occidentali sono inoltre firmatari del trattato della Energy community, che comprende obiettivi di riduzione dell’inquinamento dell’industria e del comparto energetico.
Ulteriore mezzo di transizione, atto a favorire nel breve e medio termine l’abbandono del carbone, potrebbe essere il passaggio a un’infrastruttura per il gas moderna e a basse emissioni, nel rispetto delle norme europee, conformemente al trattato che istituisce la Comunità dell’energia. Si tratterebbe pur sempre di utilizzare un combustibile fossile come strumento di passaggio che ridurrebbe le emissioni e migliorerebbe in modo significativo, rispetto al carbone, la qualità dell’aria. Un esempio potrebbe essere l’estensione del gasdotto Trans-Adriatico (Tap), che rappresenterebbe altresì un’opportunità per diversificare le fonti di gas per il mercato europeo. Non si potrebbe ignorare, inoltre, la crescente importanza del Gnl a livello mondiale quale opportunità di diversificare, sempre in chiave di transizione, l’approvvigionamento di gas nella regione. Più a lungo termine, insomma, le infrastrutture per il gas costituirebbero una fase importante nel raggiungimento degli standard richiesti da Bruxelles, adeguando l’approvvigionamento energetico della regione a quello europeo. Obiettivo finale sarà il pieno sfruttamento anche delle fonti di energia rinnovabile, di cui i paesi della regione possiedono un forte potenziale, ancora per lo più inespresso. La Bosnia, per esempio, ha sufficienti capacità per quanto riguarda lo sfruttamento dell’energia idroelettrica, vista la presenza di abbondanti risorse idriche sul territorio che potrebbero costituire un’importante componente del fabbisogno interno; tuttavia, solo il 35% di tale fonte viene utilizzata. I dati peggiorano ulteriormente se si prende in considerazione l’uso dell’energia eolica, geotermica e solare. Il piano REPower Eu, infine, dovrebbe contribuire a ridurre la dipendenza dell’Ue e dei Balcani occidentali dal gas russo.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha infatti condizionato la politica di allargamento dell’Unione europea. Solo nell’ultimo anno, infatti, è stato riconosciuto lo status di candidato a ben tre paesi: Ucraina, Moldavia e Bosnia-Erzegovina, lasciando fuori nella regione soltanto il Kosovo. Spinta ancora più evidente se si considera che l’ultimo ingresso è stato quello della Croazia risalente al 2013.
Per raggiungere l’obiettivo di entrare a far parte dell’Unione europea i paesi che hanno ottenuto lo “status di candidato” dovranno soddisfare vari requisiti richiesti da Bruxelles, incluso, come già detto, quelli di tipo ambientale. Per i candidati dei Balcani occidentali si tratta di un cambiamento rilevante, che include anche importanti sfide di tipo politico. Da questo punto di vista, infatti, uno dei fattori che hanno lasciato indietro la regione rispetto agli standard europei è stata la riluttanza e l’immobilismo della classe politica locale, che vede nella transizione energetica una minaccia ai privilegi e ai guadagni sul breve periodo. Emergono anche considerazioni di tipo socio-economico, in paesi in cui, si pensi in particolare alla Bosnia e alla Serbia, un ampio settore dell’economia si fonda ancora sull’uso del carbone, il cui smantellamento creerebbe nell’immediato la perdita di molti posti di lavoro. Per concludere, i paesi dei Balcani occidentali dovranno necessariamente intensificare, con il sostegno di Bruxelles, gli sforzi per lo sviluppo sostenibile, applicando l’accordo di Parigi sul clima e l’Agenda verde al fine di raggiungere gli obiettivi convenuti.
Chiara Vilardo